I piccoli chicchi di questo “cereale” nascondono tesori sconosciuti a partire dai tempi precolombiani.
Ha un sapore rotondo e ricco,
che ricorda vagamente la nocciola. Ha proprietà nutritive eccezionali,
soprattutto a livello proteico. E’ altamente digeribile. Sano e buono.
Ne esistono oltre 60 varietà classificate: é una pianta alta, anche un metro, con grandi foglie verdi-rossastre e con un’infiorescenza a forma di piccola pannocchia di un colore rosso magenta.
Ne esistono oltre 60 varietà classificate: é una pianta alta, anche un metro, con grandi foglie verdi-rossastre e con un’infiorescenza a forma di piccola pannocchia di un colore rosso magenta.
L’etimologia, la mitologia, la letteratura (occidentale)
La parola amaranto ha etimologia greca (ἀμάραντος) e significa che non appassisce, che non muore. La pianta era nota alle civiltà classiche per la rossa bellezza e la lunga vita del suo fiore. I greci la consideravano simbolo di amicizia eterna. Esopo gli dedicò una delle sue Favole a sfondo morale, “La rosa e l’amaranto”. Pare fosse tra le piante sacre alla dea Artemide. Anche ai romani era noto per bellezza e durevolezza. Plinio il Vecchio (23 a.c. – 79 a.c.) lo nomina nella sua “Naturalis historia” citandolo come pianta che non muore mai. I suoi fiori, infatti, una volta raccolti, e persino appassiti, riprendono vigore se immersi in acqua, durando molto a lungo.
La parola amaranto ha etimologia greca (ἀμάραντος) e significa che non appassisce, che non muore. La pianta era nota alle civiltà classiche per la rossa bellezza e la lunga vita del suo fiore. I greci la consideravano simbolo di amicizia eterna. Esopo gli dedicò una delle sue Favole a sfondo morale, “La rosa e l’amaranto”. Pare fosse tra le piante sacre alla dea Artemide. Anche ai romani era noto per bellezza e durevolezza. Plinio il Vecchio (23 a.c. – 79 a.c.) lo nomina nella sua “Naturalis historia” citandolo come pianta che non muore mai. I suoi fiori, infatti, una volta raccolti, e persino appassiti, riprendono vigore se immersi in acqua, durando molto a lungo.
L’amaranto, misterioso gemello del mais
Tra il 5000 e il 3000 a.c. in quelle che oggi sono terre messicane vivevano le antiche
popolazioni originarie, già duemila anni prima di maya e aztechi. Coltivavano fagioli in decine di varietà differenti. Peperoni e peperoncini, anche questi in decine di cultivar. E ancora zapotes, frutti dalla buccia rugosa, marrone e dalla polpa arancione acceso: gustosi, polposi, nutrienti. Ma soprattutto, ovunque, il mais.
Nei secoli successivi il mais divenne un cereale sacro, adorato e
raffigurato come divinità. Ma era soprattutto cibo quotidiano
irrinunciabile per i campesinos precolombiani. E anche per i messicani di oggi che con il mais fanno il loro pane quotidiano, la tortilla. La stessa di allora.
Al pari del mais c'era solo l’amaranto. Erano le due coltivazioni principali, a pari merito.
Oltre che in Messico, anche nell’attuale Perù, studi archeologici hanno attestato presenza massiccia ed utilizzo quotidiano di amaranto. Veniva coltivato in modo diffuso ed era parte irrinunciabile della dieta quotidiana. Se ne consumavamo le foglie, simili agli spinaci. Ma soprattutto il grano.
Con il grano di amaranto si preparava una bevanda molto nutriente dolcificata con miele. Atole di amaranto.
Al pari del mais c'era solo l’amaranto. Erano le due coltivazioni principali, a pari merito.
Oltre che in Messico, anche nell’attuale Perù, studi archeologici hanno attestato presenza massiccia ed utilizzo quotidiano di amaranto. Veniva coltivato in modo diffuso ed era parte irrinunciabile della dieta quotidiana. Se ne consumavamo le foglie, simili agli spinaci. Ma soprattutto il grano.
Con il grano di amaranto si preparava una bevanda molto nutriente dolcificata con miele. Atole di amaranto.
Si ammollava e pestava per farne tortillas o tamales.
Il suo utilizzo era sovrapposto e complementare al mais. Era
fondamentale nella povera dieta di coloro che spesso vivevano in zone
montuose, afflitte da siccità.
Se pensiamo al suo importante valore in proteine, fibre e minerali, non è esagerato dire che il suo consumo era essenziale per queste popolazioni. L'amaranto era per loro talmente importante per la vigoria del corpo che, anche più del mais, divenne alimento sacro.
Era anche pianta medicinale. In tempi contemporanei la dieta quotidiana in Messico è ancora basata su mais e fagioli mentre l’amaranto è scomparso.
Se pensiamo al suo importante valore in proteine, fibre e minerali, non è esagerato dire che il suo consumo era essenziale per queste popolazioni. L'amaranto era per loro talmente importante per la vigoria del corpo che, anche più del mais, divenne alimento sacro.
Era anche pianta medicinale. In tempi contemporanei la dieta quotidiana in Messico è ancora basata su mais e fagioli mentre l’amaranto è scomparso.
Un genocidio antropologico ed alimentare
Lo spagnolo Hernàn Cortès arriva in quello che sarà il Messico nel 1519 con tre obiettivi: evangelizzare, razziare e conquistare. Lo fa in modo calcolato e spietato. Ma cosa trova?
Octavio Paz: L’arrivo degli spagnoli parve una liberazione alle popolazioni sottomesse agli aztechi. Signori locali si alleano con loro, altri contemplano con indifferenza". Non incontrano ostacoli, in pratica. “Lo stato azteco era uno stato teocratico e militare. Ovvero autoritario, esigente, che sfruttava chiunque non facesse parte della casta guerriera o sacerdotale-politica. Ma agli spagnoli tutto questo non interessava.
Se le popolazioni combattevano, si sottomettevano o si alleavano non cambiava molto.
I massacri spietati, le uccisioni di massa di contadini e di signori locali perpetrati da Cortès dovrebbero essere ormai noti a chiunque. Il primo a denunciarli fu un frate al seguito dei conquistatori, Bartolomeo de Las Casas, nella sua Brevisima relacciòn de la destrucciòn de las Indias, pubblicata la prima volta nel 1552 a Siviglia. Ma il genocidio non fu solo questo. Fu anche sterminio di simboli e pratiche.
Quando Cortès vide che l’amaranto era la materia prima con cui si fabbricavano idoli religiosi poi distribuiti e mangiati gridò all’eresia: in un eccesso di autoreferenzialità ordinò che tutto l’amaranto fosse sradicato, disperso. Fece bruciare centinaia di ettari di coltivazioni. A chi veniva trovato in possesso di piante e grano venivano all’istante tagliate le mani. Se recidivo, veniva ucciso.
Fu così che l’amaranto in un paio di secoli sparì del tutto dal campo. Un genocidio anche alimentare: privando la dieta quotidiana di quell’importante elemento venivano a mancare una serie di nutrienti, le difese si abbassavano, aumentavano le malattie e i decessi.
Infine, le popolazioni esposte a nuovi innumerevoli virus e batteri importati dai conquistatori si trovarono ancora più in balia di infermità e morte.
Di amaranto sopravvissero poche piante, nelle zone più impervie, dove qualcuno si ostinava a consumarlo, forse perché da sempre lontano da ogni clamore politico o guerresco.
Ma il tempo degli aztechi, essere vivente che nasce, muore e rinasce insegna e porta qualcosa.
Quasi cinque secoli dopo, nel 1979 a Roma ha luogo la prima Conferenza mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale, organizzata dalla Fao. Dopo varie ricerche intorno al problema della malnutrizione, fu presentato un elenco di alimenti tradizionali da recuperare per il loro alto valore proteico.
Così fu che si diede il via al recupero dell’amaranto.
Lo spagnolo Hernàn Cortès arriva in quello che sarà il Messico nel 1519 con tre obiettivi: evangelizzare, razziare e conquistare. Lo fa in modo calcolato e spietato. Ma cosa trova?
Octavio Paz: L’arrivo degli spagnoli parve una liberazione alle popolazioni sottomesse agli aztechi. Signori locali si alleano con loro, altri contemplano con indifferenza". Non incontrano ostacoli, in pratica. “Lo stato azteco era uno stato teocratico e militare. Ovvero autoritario, esigente, che sfruttava chiunque non facesse parte della casta guerriera o sacerdotale-politica. Ma agli spagnoli tutto questo non interessava.
Se le popolazioni combattevano, si sottomettevano o si alleavano non cambiava molto.
I massacri spietati, le uccisioni di massa di contadini e di signori locali perpetrati da Cortès dovrebbero essere ormai noti a chiunque. Il primo a denunciarli fu un frate al seguito dei conquistatori, Bartolomeo de Las Casas, nella sua Brevisima relacciòn de la destrucciòn de las Indias, pubblicata la prima volta nel 1552 a Siviglia. Ma il genocidio non fu solo questo. Fu anche sterminio di simboli e pratiche.
Quando Cortès vide che l’amaranto era la materia prima con cui si fabbricavano idoli religiosi poi distribuiti e mangiati gridò all’eresia: in un eccesso di autoreferenzialità ordinò che tutto l’amaranto fosse sradicato, disperso. Fece bruciare centinaia di ettari di coltivazioni. A chi veniva trovato in possesso di piante e grano venivano all’istante tagliate le mani. Se recidivo, veniva ucciso.
Fu così che l’amaranto in un paio di secoli sparì del tutto dal campo. Un genocidio anche alimentare: privando la dieta quotidiana di quell’importante elemento venivano a mancare una serie di nutrienti, le difese si abbassavano, aumentavano le malattie e i decessi.
Infine, le popolazioni esposte a nuovi innumerevoli virus e batteri importati dai conquistatori si trovarono ancora più in balia di infermità e morte.
Di amaranto sopravvissero poche piante, nelle zone più impervie, dove qualcuno si ostinava a consumarlo, forse perché da sempre lontano da ogni clamore politico o guerresco.
Ma il tempo degli aztechi, essere vivente che nasce, muore e rinasce insegna e porta qualcosa.
Quasi cinque secoli dopo, nel 1979 a Roma ha luogo la prima Conferenza mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale, organizzata dalla Fao. Dopo varie ricerche intorno al problema della malnutrizione, fu presentato un elenco di alimenti tradizionali da recuperare per il loro alto valore proteico.
Così fu che si diede il via al recupero dell’amaranto.
Amaranto campesino oggi. Esiste e resiste.
Dove siamo? Mettiamo a fuoco questa piccola parte di Messico. Tra Oaxaca e Veracruz c’è lo stato di Puebla, che ha la città omonima per capitale, con il suo ricco (ma la ricchezza da queste parti è, più che altrove, per pochi), bello e sonnolento centro barocco coloniale.
Periferie di piccole fabbriche, la più grande era la Wolkwagen. Consueta distesa di tetti di lamiera, caos urbano, povertà diffusa.
Dagli anni Ottanta sono comparse le maquiladoras. Fabbriche di jeans, soprattutto. Con manodopera a costi bassi. Jeans con marchi Usa molto trendy, destinati solo al mercato occidentale. Che hanno inquinato con gli scarti delle tinture molte falde acquifere. Poi le fabbriche sono state abbandonate perché produrre in Cina oggi costa ancora meno. Storie di ordinario sfruttamento.
Se ti sposti a sud est sei nell’antichissima valle di Tehuacan. Nome nahuatl.
Gli archeologi sono concordi nel dire che la valle di Tehuacan è il primo posto al mondo in cui fu coltivato il mais. La data è incerta, comunque pare intorno al 5000 a.c. Siamo nel periodo pre-classico. Le civiltà precolombiane che conosciamo arriveranno solo intorno al 1500 con gli Olmechi, a cui seguiranno Toltechi, Zapotechi, Maya, Aztechi. Nel 5000 a.c. siamo all’inizio della Storia. E il mais c’era già. Assieme all’amaranto.
Prima erano piante selvatiche. Poi i cacciatori nomadi si insediarono, divennero agricoltori. E via dicendo, fino alla scomparsa con gli spagnoli conquistatori, come detto.
Ma oggi l’amaranto è di nuovo protagonista nel campo di questa valle.
Periferie di piccole fabbriche, la più grande era la Wolkwagen. Consueta distesa di tetti di lamiera, caos urbano, povertà diffusa.
Dagli anni Ottanta sono comparse le maquiladoras. Fabbriche di jeans, soprattutto. Con manodopera a costi bassi. Jeans con marchi Usa molto trendy, destinati solo al mercato occidentale. Che hanno inquinato con gli scarti delle tinture molte falde acquifere. Poi le fabbriche sono state abbandonate perché produrre in Cina oggi costa ancora meno. Storie di ordinario sfruttamento.
Se ti sposti a sud est sei nell’antichissima valle di Tehuacan. Nome nahuatl.
Gli archeologi sono concordi nel dire che la valle di Tehuacan è il primo posto al mondo in cui fu coltivato il mais. La data è incerta, comunque pare intorno al 5000 a.c. Siamo nel periodo pre-classico. Le civiltà precolombiane che conosciamo arriveranno solo intorno al 1500 con gli Olmechi, a cui seguiranno Toltechi, Zapotechi, Maya, Aztechi. Nel 5000 a.c. siamo all’inizio della Storia. E il mais c’era già. Assieme all’amaranto.
Prima erano piante selvatiche. Poi i cacciatori nomadi si insediarono, divennero agricoltori. E via dicendo, fino alla scomparsa con gli spagnoli conquistatori, come detto.
Ma oggi l’amaranto è di nuovo protagonista nel campo di questa valle.
Storia e partecipazione di una terra
A volte ci sono persone la cui vita è creare partecipazione, cambiamento, evoluzione condivisa. Raul Hernadez
è certamente tra questi. Nel 1980 lascia il DF (Districto Federal),
così i messicani chiamano la loro capitale, Città del Messico. E viene
qui, tra queste aride montagne. Gliene hanno parlato. Qui la gente sta
abbandonando tutto. Lui vorrebbe fare qualcosa. Ma non imporre sue idee.
Inizia un lavoro di ricerca sui bisogni della popolazione locale. Emerge che l’esigenza primaria è l’acqua.
Siamo in zone semidesertiche, la pioggia è poca e non si riesce a
beneficiarne. Eppure se questa è la culla mondiale del mais e
dell’amaranto. Qui un tempo le terre erano fertili. C’era acqua.
Studiando reperti e relazioni archeologiche si scopre che le popolazioni precolombiane avevano creato in queste terre un complesso sistema di irrigazione e raccolta acqua, opera di ingegneria idraulica ante litteram. Lo studiano. Vogliono ricostruirlo.
Si tratta di micro dighe e canalizzazioni sia scoperte che sotterranee e di serbatoi di raccolta acqua. Sono le aguas de cuenca. Il primo pezzo che costruiscono viene giù alla prima pioggia. Non demordono. Ristudiano. Riprovano. Funziona. In 20 anni di lavoro questo arcaico ed efficiente sistema idraulico arriva a beneficiare 250.000 persone, sparse in decine di villaggi.
Acqua significa vita, naturalmente. Delle persone. Degli animali. E della terra.
Studiando reperti e relazioni archeologiche si scopre che le popolazioni precolombiane avevano creato in queste terre un complesso sistema di irrigazione e raccolta acqua, opera di ingegneria idraulica ante litteram. Lo studiano. Vogliono ricostruirlo.
Si tratta di micro dighe e canalizzazioni sia scoperte che sotterranee e di serbatoi di raccolta acqua. Sono le aguas de cuenca. Il primo pezzo che costruiscono viene giù alla prima pioggia. Non demordono. Ristudiano. Riprovano. Funziona. In 20 anni di lavoro questo arcaico ed efficiente sistema idraulico arriva a beneficiare 250.000 persone, sparse in decine di villaggi.
Acqua significa vita, naturalmente. Delle persone. Degli animali. E della terra.
Oasi di amaranto
La cosa più impressionante quando entri nell’area in cui ci sono le aguas de cuenca, è la sensazione di entrare in un’oasi.
Arrivi nella valle e attraversi montagne aspre, rocciose. Vegetazione secca ed ispida. Distese di cactus. Poi cambiano i colori. Verde. Campi coltivati. Sono tutti piccoli appezzamenti. Qui il concetto di agricoltura è tutto familiare.
L’irrigazione goccia a goccia che utilizza il sistema della aguas de cuenca, le serre per gli ortaggi, il campo aperto.
Tutto quello che in modo forse altisonante si chiama ecosostenibile qui è semplicemente realtà quotidiana. Che richiede impegno e lavoro, per tutti. Contadini, tecnici. Tutti.Si produce prima di tutto per la famiglia, per mangiare. Poi ci si organizza e si può vendere una parte del raccolto. L’appezzamento medio è intorno all’ettaro, più o meno. Microagricoltura. Che significa totale compatibilità sociale ed ambientale.
E cosa coltivano? Tradizionalmente qui si coltivavano, con grande fatica, mais e fagioli. Dieta di base del campesino messicano. Da quando c’è l’acqua si sono aggiunti gli ortaggi. E soprattutto l’amaranto.
Ad oggi, 2012, sono 560 gli ettari totali coltivati ad amaranto.
L’amaranto di Tehuacan è un Presidio Slow Food. In Italia viene commercializzato da Altromercato.
http://www.altromercato.it
frittelle di amaranto
Arrivi nella valle e attraversi montagne aspre, rocciose. Vegetazione secca ed ispida. Distese di cactus. Poi cambiano i colori. Verde. Campi coltivati. Sono tutti piccoli appezzamenti. Qui il concetto di agricoltura è tutto familiare.
L’irrigazione goccia a goccia che utilizza il sistema della aguas de cuenca, le serre per gli ortaggi, il campo aperto.
Tutto quello che in modo forse altisonante si chiama ecosostenibile qui è semplicemente realtà quotidiana. Che richiede impegno e lavoro, per tutti. Contadini, tecnici. Tutti.Si produce prima di tutto per la famiglia, per mangiare. Poi ci si organizza e si può vendere una parte del raccolto. L’appezzamento medio è intorno all’ettaro, più o meno. Microagricoltura. Che significa totale compatibilità sociale ed ambientale.
E cosa coltivano? Tradizionalmente qui si coltivavano, con grande fatica, mais e fagioli. Dieta di base del campesino messicano. Da quando c’è l’acqua si sono aggiunti gli ortaggi. E soprattutto l’amaranto.
Ad oggi, 2012, sono 560 gli ettari totali coltivati ad amaranto.
L’amaranto di Tehuacan è un Presidio Slow Food. In Italia viene commercializzato da Altromercato.
http://www.altromercato.it
Come si cucina?
Un “cereale” (chiamiamolo così per praticità di comprensione) così versatile è
difficile da trovare. I suoi chicchi, una volta cotti si trasformano in
una sorta di crema, pur senza perdere le loro micro rotondità.
Per questo motivo si presta benissimo a diventare ingrediente principe o di appoggio in minestre, zuppe, sformati, soufllè, timballi.
E ancora frittatine e crepes. Ma anche “risotti” che diventano “amarantotti”. E ottime polentine da servire cremose. Il suo abbinamento classico e consigliato a livello nutritivo è con verdure e legumi di ogni tipo.
Se vogliamo rendere l’amaranto ancora più sfizioso possiamo utilizzare mezzo amaranto e mezzo riso o mais. Grande abbraccio tra amaranto e spezie, regine tra tutte la curcuma ed il peperoncino. Ma anche lo zenzero, la cannella, il pepe bianco, il cumino.
A nozze anche con le erbe aromatiche: menta, basilico, timo, prezzemolo, coriandolo, maggiorana. I fortunati che proveranno l’abbinamento con la borragine resteranno stupefatti. Chi non la trovasse si accontenti si semplici spinaci e non verrà deluso. E non dimentichiamo il duetto con il miele.
In Messico l’abbinamento dà origine ad una sorta di snack “nazionale” chiamato alegrìa, una barretta dolce di amaranto soffiato e miele. Un vero peccato che il troppo junk food presente nell’offerta snack la soffochi.
Per questo motivo si presta benissimo a diventare ingrediente principe o di appoggio in minestre, zuppe, sformati, soufllè, timballi.
E ancora frittatine e crepes. Ma anche “risotti” che diventano “amarantotti”. E ottime polentine da servire cremose. Il suo abbinamento classico e consigliato a livello nutritivo è con verdure e legumi di ogni tipo.
Se vogliamo rendere l’amaranto ancora più sfizioso possiamo utilizzare mezzo amaranto e mezzo riso o mais. Grande abbraccio tra amaranto e spezie, regine tra tutte la curcuma ed il peperoncino. Ma anche lo zenzero, la cannella, il pepe bianco, il cumino.
A nozze anche con le erbe aromatiche: menta, basilico, timo, prezzemolo, coriandolo, maggiorana. I fortunati che proveranno l’abbinamento con la borragine resteranno stupefatti. Chi non la trovasse si accontenti si semplici spinaci e non verrà deluso. E non dimentichiamo il duetto con il miele.
In Messico l’abbinamento dà origine ad una sorta di snack “nazionale” chiamato alegrìa, una barretta dolce di amaranto soffiato e miele. Un vero peccato che il troppo junk food presente nell’offerta snack la soffochi.
Prima di cucinarlo, un consiglio base: l’amaranto va lavato bene. Essendo composto da granellini dotarsi di uno piccolo colapasta a trama fine non molto grande o di un colino grande: diametro di circa 15 cm e maglia molto fitta; preferite uno scolapasta in bambù
(di solito è intrecciato finemente) o un colino con maglie in acciaio
fitte (tipo colino cinese o comunque quei colini che servono a
filtrare).
Mettete l’amaranto nel colino riempiendolo per non più di metà, inserite il colino in una piccola terrina che possa contenerlo. Aprite il rubinetto (acqua fredda) e fate scorrere lentamente l’acqua in modo che la terrina si riempia e l’amaranto stia a mollo, ma senza fuoriuscire. Rigirate con la mano. Lavate per un paio di minuti.
Tirate su il colino. Fatto. Pronto per la cottura, secondo istruzioni sulla confezione.
Le ricette
zuppa di amarantoMettete l’amaranto nel colino riempiendolo per non più di metà, inserite il colino in una piccola terrina che possa contenerlo. Aprite il rubinetto (acqua fredda) e fate scorrere lentamente l’acqua in modo che la terrina si riempia e l’amaranto stia a mollo, ma senza fuoriuscire. Rigirate con la mano. Lavate per un paio di minuti.
Tirate su il colino. Fatto. Pronto per la cottura, secondo istruzioni sulla confezione.
Le ricette
frittelle di amaranto
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