lunedì 29 luglio 2013

Chiusura estiva

Saremo chiusi dal 5 al 18 agosto. Riapriremo il 20/8, ma fino al 24 saremo aperti solo al pomeriggio.
Vi aspettiamo per le scorte estive di caffè, zucchereo, tè, crema solare ecc.... prima della nostra chiusura!!!

martedì 2 luglio 2013

L'ETICO E IL NON ETICO NEI NOSTRI ARMADI

L'ETICO (sì, forse, quasi) E IL NON ETICO NEI NOSTRI ARMADI
10 domande di una volontaria su vestiario e non solo.

1. Marzo / aprile 2013: in TV, su RAI 5, va in onda “ L'insostenibile leggerezza del prezzo”: una serie di puntate di un documentario-reality sul tema ”sfruttamento sul lavoro nei paesi del Sud del mondo”, in riferimento soprattutto all'abbigliamento in vendita nei centri commerciali. Benché già conosca molti aspetti sull'argomento, resto colpita da quanto vedo e sento. ( www.youtube.com)

2. Aprile 2013: a Dacca cade al suolo un edificio (Rana Plaza) dove si producevano abiti per l'estero, per noti marchi. Tra operai e operaie, sono in 1127 a perdere la vita. Meno di un anno prima, sempre in Bangladesh, le vittime del crollo di un'altra fabbrica erano state 112. Esempi recenti dei catastrofici “incidenti” che avvengono periodicamente nelle fabbriche tessili asiatiche.

3. 11 maggio 2013: a Cernusco s/N si svolge “Moda in piazza – Sfilata di moda etica, ecologica e sostenibile”, manifestazione cui partecipa anche Mondoalegre-Eticomondo di Cernusco. Scopo principale: indirizzare l'interesse dei “consumatori di abbigliamento” verso un vestiario senza sfruttamento alle spalle, i cui tessuti siano prodotti con materiali compatibili con l'ambiente ecc.

4. Maggio 2013: Vandana Shiva, la celebre ambientalista indiana, è in Italia, anche a Cernusco! Al convegno “Progetto Gjusti”, sui Green jobs - lavori verdi, fa un discorso coinvolgente sui temi dell'agricoltura (comprendente anche la coltivazione del cotone). Per radio sento poi questa sua affermazione: l'acquisto di n.2 vestiti all'anno (penso si riferisse ad abiti completi) può bastare per le esigenze di una persona. Insieme a quelli già in uso, i due abiti (questo lo aggiungo io) permetterebbero comunque una “rotazione d' abito”, evitando cambi consumistici del guardaroba, (anche se di questi tempi si è più attenti al risparmio)

5. 8 giugno 2013: la radio mi informa di questo dato: 1kg di abiti prodotti = 25 kg. CO2

(il CO2, anidride carbonica, è il gas responsabile più di altri del riscaldamento planetario)

Questi fatti recenti sono un' occasione per adattare al tema la tipica domanda del consumatore responsabile, e cioè “come posso acquistare in modo consapevole nel campo dell'abbigliamento”? (Benché la questione riguardi anche la società nel suo insieme e il suo modello di sviluppo economico, qui fermiamoci pure solo alle scelte individuali, consapevoli però che la somma della scelta di tanti singoli può incidere). Alla domanda, una volontaria Comes darà questa risposta: acquistando i nostri prodotti. Certamente anch'io lo faccio, anche se a volte il prezzo frena. Vale sempre, però, quello che potrebbe essere il nostro motto” meglio il poco, ma etico, piuttosto che il tanto non etico e di qualità scadente”. Tuttavia i “ma”non mancano, per es.:

- anche i prodotti etici come i nostri producono tanta CO2 (vedi punto 5), consumano tanta acqua ecc. Forse, ne deduco, qualche maglietta in meno potevo comprarla.

- la gamma dei prodotti di abbigliamento del Comes è limitata ad alcuni prodotti, ancor più limitati se ci si rivolge solo alla bottega del tuo paese. E per gli altri prodotti? Ma prima di una (mia) risposta, una considerazione di tipo quantitativo.

Se guardo in armadi, comò e quant'altro deduco che, a pesarlo, tutto il vestiario della famiglia assommerebbe a...quanti chili? Non ne ho idea, ma direi non pochi. E pensare che alla moda ci tengo minimamente: quel tanto che basta per non apparire completamente fuori epoca, con un occhio all'abbinamento dei colori.

Ma come mi è entrata in casa tutta quella roba? (e ogni tanto, comunque, qualcosa in vario modo la elimino). Tante sono le “cose” non comprate da me: indumenti ereditati o regalati, vecchi e nuovi... Tra gli acquisti, invece, particolare attenzione va, oltre al fair-trade & c, anche all'usato. I miei negozi di fiducia però non sono proprio in zona. Si trovano in...Irlanda, dove vado spesso, ovviamente non per fare shopping! Li chiamano “charity shops”. A Galway, conosco il negozio di Oxfam, quello di una associazione in favore dei disabili e quello di un'altra in favore degli animali. Considerazione: quando l'indumento è venduto come usato – indipendentemente da chi e come sia stato prodotto - perde un po' le sue connotazioni negative, diventando qualcosa cui, in modo anticonsumistico e “antispreco”, si allunga la vita e il cui acquisto serve per di più a una buona causa. Il tutto a modico prezzo. Da noi invece l'idea dell'usato a buon mercato non ha ancora messo radici diffusamente sul territorio. Di questi tempi potrebbe avere successo. Segnalo il mercatino, a Gorgonzola, di ManiTese, che sull'usato promuove anche altre iniziative (www.cooperativamanitese.it).

Mi chiedo ancora (ma immagino non sarò solo io a farlo, é per questo che ne parlo): serve avere tanti indumenti (“tanti” è un concetto soggettivo, in verità) anche quando si é “poco” interessati all'apparenza? ( “poco” e non “niente”, ma qui evitiamo spiegazioni di tipo antropologico). Alla domanda darei una risposta pratica: questione di lavaggi. Far andare la lavatrice a pieno carico, si sa, è più economico, anche per l'ambiente, e per riempire il cestello conviene possedere abbastanza “roba”.

A completamento delle domande precedenti, ne aggiungo un'altra: Quando hai bisogno di fare quegli acquisti (sono poi la maggioranza) che non trovi nella tua bottega e neanche hai occasione di acquistare l'usato, dove andare a comprare? E come comportarsi con i vari “made in”...?

Anche qui entrano in ballo questioni pratiche, che per me sono un occhio al prezzo e la vicinanza a casa del punto vendita. Quindi facilmente, volente o nolente, la scelta “cade” sul centro commerciale vicino. Ma, ovunque mi trovi, prima dell'eventuale acquisto, vado subito a leggere la provenienza dell'indumento. Made in Italy? (o altro paese storico della UE? non lo leggo mai però). Se l'affermazione è veritiera (potrebbe anche non esserlo) credo, spero che le condizioni dei lavoratori siano almeno accettabili, e ciò mi invoglia all'acquisto. Ma, come è noto, la delocalizzazione avanza. Quindi spesso appaiono le etichette “made in Polonia, Albania, Serbia...”per restare comunque all'Europa. A quanto ne so, a operai e operaie di quei Paesi sì offrono un salario basso e una vita dura, che immagino però meno duri della vita e del lavoro che toccano ai colleghi indiani, cinesi, bengalesi ecc.. Quindi, come forma di boicottaggio, cerco di evitare il più possibile gli acquisti “asiatici”. In Sud America so che si produce per noti marchi e, almeno fino a qualche anno fa, in condizioni di sfruttamento. E ultimamente? Mah...

Un discorso a parte meriterebbe anche l'aspetto salutare e ambientale relativo ai tessuti: sono di cotone ogm? quanto hanno di sintetico (cioè in genere di petrolifero)? che colori vengono usati ecc? (Le allergie sono in agguato, o anche peggio).

In conclusione, dopo tutte le mie domande, sto cercando di adottare il più possibile due principali criteri: quello del “meno non etico possibile” e quello della riduzione degli acquisti. E questo non solo nel campo dell'abbigliamento. Proviamo a notare la quantità di cose di tutti i tipi, accumulatesi negli anni (a volte oggetti cari, certamente), che in casa ci circonda. Non saranno troppe? Ci sarebbe spazio per altre domande e riflessioni, ma qui mi fermo.